Ieri pomeriggio nella trasmissione RAI di approfondimento culturale Rebus in cui (tra l’altro) gli autori si proponevano di evidenziare i rapporti tra musica e matematica, con ospiti quali Corrado Augias, il maestro Aurelio Canonici e la matematica Elisabetta Strickland, la cosa che più è invece risultata evidente è che le semplificazioni della divulgazione, la rapidità di comunicazione, sovente sono fuorvianti.
“La musica è un linguaggio, ma con la particolarità che è privo di logica”.
Ieri pomeriggio nella trasmissione RAI di approfondimento culturale Rebus in cui (tra l’altro) gli autori si proponevano di evidenziare i rapporti tra musica e matematica, con ospiti quali Corrado Augias, il maestro Aurelio Canonici e la matematica Elisabetta Strickland, la cosa che più è invece risultata evidente è che le semplificazioni della divulgazione, la rapidità di comunicazione, sovente sono fuorvianti.
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Spirituale: proprio dello spirito, inteso come complesso e centro della vita psichica, intellettuale e affettiva dell’uomo.
Esercizio: qualsiasi atto con cui si addestri il corpo o si applichi la mente con lo scopo di svilupparne o conservarne le forze, l’agilità, l’efficienza. Così il vocabolario Treccani. Quindi anche la musica (verrebbe da dire soprattutto la musica) può esser sede e vettore di esercizi spirituali; e non solo facendola, ma pure semplicemente ascoltandola. Come per la chitarra nessuno strumento ha avuto così tante e diverse declinazioni nei vari generi e stili.
Storicamente, così tanti strumentisti diversi tra loro sia in assoluto sia all’interno di un genere come per i chitarristi non si riscontrano; e ciò che fa più impressione, almeno a me, è nel Jazz. E non soltanto nell’aspetto più evidente, quello timbrico, ma proprio nel linguaggio. Ancorché intorno agli anni 2000 si sia delineata una certa direzione nell’improvvisazione: l’influenza solistica di Pat Metheny, che pure prima era fortissima, prevale su tutte. Tutti hanno i loro brani musicali preferiti, quindi pure io.
La cosa particolare è che presto ho scoperto che tra i tantissimi pezzi che via via ascoltavo, dalla mia adolescenza in poi, le mie preferenze non di rado avevano un denominatore comune che andava oltre gli autori, i generi e gli stili musicali. Dapprima e soprattutto ho amato Black Napkins, A Night in Tunisia e Nardis (di Frank Zappa, Dizzy Gillespie e Miles Davis): un’attrazione che le decadi di anni trascorse non ha indebolito, è ancora potentissima. La “grammatica” musicale è per un verso molto semplice, per un altro parecchio complicata.
Semplificando, si può comprendere il processo generativo musicale pensando alle 13 note della scala Cromatica* come alle sillabe di un alfabeto. E alla scelta di una scala (Maggiore, Minore, Pentatonica ecc.) già come a una sorta di pre formattazione lessicale, cioè un insieme di vocaboli (lessemi), che pertanto hanno già qualcosa ben più “significativo” rispetto alle sillabe. In musica non di rado si parla (e si scrive) di dissonanza: ma cos’è la dissonanza musicale?
È invalso (anche in specifici manuali e testi musicali) intendere e applicare questo termine per esprimere spiacevolezza nell’ascoltare alcuni suoni, come per il rumore, ma essendo questa sensazione del tutto soggettiva e variabile nel corso del tempo, nelle abitudini e geografie dei popoli, questo concetto è poco utile, se non controproducente, per comprendere oggettivamente la dissonanza. Va da sé che la dissonanza è correlata con la consonanza.
Sin dalle scuole elementari tutti conosciamo la proprietà commutativa dell’addizione (e della moltiplicazione): cambiando l’ordine dei fattori (o addendi) il risultato non cambia.
E similarmente, in modo diffuso (anche tra sin troppi musicisti e insegnanti professionisti), si ritiene che la cosa decisiva delle note sia quali sono presenti indipendentemente dal loro ordine di successione. Cioè, scelta una scala di base p.e. Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do, poco importa come saranno disposte le note (al netto di qualche minima variazione): la cosa fondamentale, a fronte dei secolari precetti del Sistema Tonale, è che siano quelle e non altre. E qui un paradosso. In musica, dopo i rudimenti tecnici per imparare a emettere note tramite uno strumento, la cosa cui subito si scontra chi vuole imparare a improvvisare e/o comporre è dare coerenza a una serie di note che non sia una mera esposizione di eserciziari, acquisiti durante gli addestramenti sullo strumento; o altrui invenzioni.
Se è vero come è vero che l’Europa (poi ’”Occidente”) è nella dimensione armonica della musica la prima della classe, anzi, la fuoriclasse, non avendo in pratica rivali a livello mondiale*, per la dimensione ritmica è l’ultima?**.
L’Africa, l’India, il Medio Oriente e in generale l’Est (anche dell’Europa) hanno nel ritmo una formidabile propulsione musicale, a noi sconosciuta. Quando si può considerare una sequenza di note nel tempo una melodia?
Teoricamente sempre, perché una successione di note attiene all’elemento melodico della musica; come una successione di durate a quello ritmico, e un insieme di note simultanee a quello armonico. E se il ritmo è il fattore più elementare e diretto, più facilmente assimilabile (imitabile), l’armonia è quello più sofisticato e “intellettuale”; in mezzo c’è la melodia, che non a caso è considerata la regina della musica, è comunemente intesa quasi sinonimo di musica. I decisivi apporti e rapporti del Blues e del Jazz inerenti alla musica moderna li abbiamo visti varie volte e da prospettive differenti; facciamone una breve sintesi e aggiungiamo un tassello.
La grande novità della musica moderna fu l’originarsi all’alba del XX secolo della musica afroamericana: il Blues e il Jazz. Coevi e reciproci in termini di ascendenze e influenze. Quel magnifico strumento chiamato pianoforte è uno strumento sempre stonato, pure quando perfettamente accordato.
Le note alte sono più alte e le note basse più basse di quanto debbono essere nella scala del nostro sistema musicale ossia del Temperamento equabile*. È un fatto che sorprenderà molti, tuttavia per gli specialisti è cosa nota; inesorabile. Non poche volte mi è stato chiesto: si può fare musica solo col rumore? Qual è la differenza tra una nota e un rumore?
Ebbene, no, non si può fare musica solo col rumore; almeno non del tutto. E vedremo meglio più avanti perché e cosa si può fare col rumore, anche perché prima occorre comprendere cosa è una nota e cosa un rumore. Quando e perché si ritiene particolarmente poetica la musica? Si può stabilire quest’aspetto musicale che sembra tra i più soggettivi?
La poesia è “l’arte di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con una certa approssimazione si può dire che il significato di poesia è individuabile, nell’uso corrente e tradizionale, nella sua contrapposizione a prosa, in quanto i due termini implicano rispettivamente e principalmente la presenza o l’assenza di una restrizione metrica”. Così l’Enciclopedia Treccani. Tutti più o meno conoscono i tre fattori fondamentali della musica: ritmo, melodia e armonia.
Chiunque sa che una melodia è una sequenza di note singole che si possono fischiettare, l’armonia è realizzata dagli accordi dell’accompagnamento cioè molte note eseguite più o meno simultaneamente, e il ritmo è dato dagli impulsi contenuti in un ciclo di pochi secondi che in maniera reiterata qualche strumento esegue. C’è un ulteriore elemento chiamato tempo cui tutto ciò è biunivocamente connesso. Il tempo musicale significa due cose indipendenti tra loro: velocità e metro. Musica Enchiriadis (manuale di musica) è il nome di un celeberrimo testo il cui autore è anonimo*; probabilmente redatto nella seconda metà del IX secolo nella Francia settentrionale. A oggi è il testo più antico del mondo relativamente all’armonia musicale, alla polifonia. Fu una meravigliosa innovazione estetica e poetica; diffusissimo, un riferimento.
Ancora oggi si ritiene diffusamente (anche in autorevoli enciclopedie) che nel Medioevo si credesse che in musica ci fosse una particolare combinazione di suoni dissonanti in grado di evocare il diavolo (pure fosse solo metaforicamente); che quindi sarebbe stata severamente vietata in quell’era umana così tanto religiosa quanto superstiziosa: è falso.
Non c’è alcun riscontro a ciò a tutti i livelli, né documentali né nella prassi. In musica il più rapido effetto lo riceviamo dalla natura dei suoni: qualità fisica musicale; sovrastruttura.
Ciò determina quell’impatto emotivo che spesso è permanente negli ascoltatori anche più accorti, e che sovente non permette un approfondimento dell’ascolto più sostanzialmente musicale. Ossia quel che definisce la struttura della musica: ritmo, melodia e armonia. Nei generi musicali tra le discriminanti più importanti vi è la cosiddetta modulazione*.
In un brano la modulazione è il cambiamento di tonalità, ossia la variazione della scala basamento della melodia e armonia correlate. Può essere temporanea o permanente, cioè si può modulare ulteriormente andando a un’altra tonalità o ritornare a quella di partenza (o rimanere fino al termine del brano a quella raggiunta), per esempio da LA maggiore a MI maggiore e poi a SI minore o tornare a LA maggiore (o rimanere in MI maggiore). Premettendo che si sa poco e che si hanno pochissime certezze della musica dell’antica Grecia (dalla quale è principalmente derivata la musica occidentale), tanto che diffusamente nei testi di storia della musica è riservato pochissimo spazio, possiamo tentare di sintetizzare per brevemente relazionarla alla prassi della musica moderna.
Un paio di interessanti sorprese. |
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Maggio 2024
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